Il cantautore Antonio Carluccio: “In questo lavoro bisogna fare un patto di povertà. Questa frase di Dalla mi ha cambiato la vita”

di Claudio Donato

È un vero piacere avere su Musicando Live il cantautore Antonio Carluccio, la cui storia musicale mi piace definirla particolare.

Antonio, mi ha colpito molto una tua frase nella quale affermi: “È stata la musica a scegliere me”. Detta così può essere generica, ma leggendo la tua storia tutto è più chiaro. Per te si prospettava una carriera da calciatore, poi ci sono stati due brutti infortuni e in tuo soccorso è arrivata la musica. Ci racconti com’ è andata?

In effetti hai già riassunto molto bene quanto è accaduto. Da quando sono piccolo ho sempre vissuto in maniera parallela le passioni per il calcio e la musica. Mio padre era un chitarrista-mandolinista, quindi, la musica ha sempre fatto parte della mia vita. Quando papà si riuniva per le prove con i suoi amici, io ero lì ad assistere fino a tardi. Il calcio, come giustamente dicevi nella tua domanda, mi divertiva e ha assorbito il mio tempo fino all’ età di 20 anni. Purtroppo, due infortuni, a distanza di due anni, ne hanno fermato l’ascesa. Nel frattempo, come ti dicevo, continuavo a portare avanti l’altra mia passione per la musica. Scrivevo canzoni, suonavo la chitarra, ma vivevo tutto come un hobby. Nel 2001 ci fu un’occasione inaspettata. Arrivò una proposta di Giorgia, che cercava otto coristi gospel per il festival di Sanremo. Da poco tempo ero entrato a far parte di un coro. In quell’anno Giorgia partecipava al festival con “Di sole e d’azzurro”. Fui scelto in un contesto di 40 persone. In un momento così drammatico per la mia carriera calcistica, quell’occasione la vidi come un segno del destino. Da lì in accaddero una serie di situazioni”.

Cosa puoi aggiungere di questa esperienza con Giorgia?

Di lei si percepiva la gavetta che aveva avuto modo di fare, soprattutto grazie al papà. Il suo talento è stato ben coltivato nel corso degli anni”.

A proposito di cose accadute, “La parola”, il tuo album da solista, fece colpo su una grande interprete della nostra musica. Parliamo di Fiorella Mannoia. Raccontiamo ai nostri lettori come andò?

Sì. Anche questo episodio nacque per caso. Dopo aver terminato il mio album avevo bisogno di un’etichetta per la distribuzione. Chiesi a un mio amico cosa pensasse di questo mio disco. Lui in quel periodo faceva parte dei giudici della trasmissione “Amici” di Maria De Filippi. Rimase subito colpito dal mio lavoro e lo fece sentire a Fiorella. Nell’album c’era “Creature”, l’unico brano in lingua napoletana. Piacque molto a Fiorella. Inizialmente pensai che volesse cantarlo e inserirlo nel suo disco. Invece no, volle che lo cantassi io. Lei aggiunse soltanto alcune frasi in napoletano”.

Un brano che tratta la delicata tematica delle baby gang.

E’ vero, tratta questa tematica importante. Ha un aspetto autobiografico perché nasco a Napoli in un quartiere abbastanza complicato. Sono realtà che conosco da vicino e purtroppo ho visto tanti giovani che non hanno avuto la fortuna di cambiare la propria vita. L’arte, lo sport, la musica,molto spesso, possono essere elementi di ‘salvezza’ per tanti ragazzi. Purtroppo, nonostante vi siano delle associazioni e alcuni aspetti positivi che sono sorti, si fa sempre poco per cambiare certe situazioni. Mi sono trasferito a Roma da giovane e posso dirti che ho avuto opportunità importanti che probabilmente non avrei avuto nella mia città”.

È in programma anche una collaborazione con la bravissima attrice Claudia Campagnola. Ci dici qualcosa in più?

Con Claudia è stato un incontro di anime. Lei è una grande attrice e ha apprezzato il mio disco ma anche il mio modo di scrivere. Ci sarà uno spettacolo teatrale che partirà a breve. Spero di portarlo anche a Napoli. Diciamo che avrò un doppio ruolo di cantante e attore”.

Sei stato anche il vocalist di tanti grandi della musica come Renato Zero, De Crescenzo, Pino Daniele, Michael Bolton. Ci racconti cosa ti ha colpito di questi grandi artisti?

Ti racconto una cosa. Quando facevo il vocalist per la trasmissione “Carramba che fortuna” di Raffaella Carrà; ogni settimana, con altri colleghi, accompagnavamo i vari artisti nazionali e internazionali che venivano ad esibirsi. Spesso ci capitava di dover provare i vari brani da soli perché gli artisti arrivavano all’ultimo momento per questioni di tempo. Ricordo benissimo che la settimana nella quale doveva arrivare Michael Bolton, con i miei colleghi eravamo in sala prove a riposare un po’. A un certo punto sentimmo bussare la porta ed era proprio Michael Bolton che ci chiese se per cortesia potevamo provare il brano insieme a lui. Ti lascio immaginare la sua grande umiltà. Molti dovrebbero prendere esempio da certe situazioni”.

Ti faccio una domanda secca: cosa pensi di questo momento che attraversa la nostra musica, visto che si parla tanto di mancanza di testi importanti e melodia?

“Il mio modo di fare musica è sempre alla ricerca della melodia. La tua domanda è giusta ma i problemi principali che bisogna affrontare sono due. In primis la musica è in mano alle radio che sono il vero ago della bilancia per quanto riguarda il mercato musicale. Musiche diverse, che non ‘cavalcano’ certi standard, non vengono passate. Il secondo problema è culturale. Nel senso che neghiamo quello che ci appartiene per importare modelli prodotti all’estero. Ecco che nascono delle ‘imitazioni’ di culture che non ci appartengono, con la naturale conseguenza di risultati tutt’altro che lusinghieri. Percepisco, prima o poi, un ritorno a quelle che erano le piacevoli ‘essenze’ musicali di un tempo”.

Per il momento dobbiamo rispolverare i vecchi capolavori del passato, in modo da ‘disintossicarci’ dalle tossine che siamo costretti ad accumulare.

Certo. Ben vengano canzoni di Pino Daniele, Battisti, De Gregori e tanti altri grandi artisti”.

C’è qualcosa che ti ha lascito un vuoto?

Ti confesso un mio grande rammarico, che è quello di non aver potuto continuare a coltivare l’amicizia con Lucio Dalla. Lucio scrisse la Tosca per farne un musical e per cinque anni ebbi la fortuna di far parte del suo cast. Spesso ci vedevamo a Bologna. Era un visionario, un sensitivo della musica. L’altro giorno ascoltavo “Com’è profondo il mare” e mi rendevo conto di quanti anni siamo ancora indietro rispetto a quando lui scrisse quel testo. Conservava il tipico aspetto da bambino, m di chi ha voglia stupire e stupirsi. Ti chiamava per farti ascoltare il suo disco e chiederti un parere. Qui ti rendi conto dell’ umiltà di questo grande artista. Mi è rimasta molto impressa una sua frase, che mi ha cambiato la vita e porterò sempre con me. Un giorno mi disse: “Ricordati che questo è un lavoro nel quale bisogna fare un patto di povertà, come fanno i frati”. Lucio mi fece capire tante cose. Bisogna fare musica non per essere ricchi ma per la necessità e il bisogno di comunicare qualcosa”.

A cosa stai lavorando ultimamente?

Sto lavorando ad un progetto molto divertente. In pratica sto traducendo in lingua napoletana brani molto famosi, come Overjoyed. Qualcosa potete già seguirla sulle mie pagine social. Questo esperimento, se vogliamo definirlo così, ci dimostra come la nostra melodia sia diffusa nel mondo. La stessa melodia di Overjoyed, ad esempio, sembra un classico napoletano”.

Il tuo sogno?

Il sogno è quello di vivere di musica”.


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