Demo Morselli tra carriera, aneddoti e progetti: “Jovanotti è di un’umanità assoluta”

di Claudio Donato

Ecco una di quelle chiacchierate che ci piacciono molto. Con la grande competenza del maestro Demo Morselli, abbiamo avuto modo di apprezzare l’ umanità e la professionalità di alcuni personaggi del mondo televisivo e della musica con i quali ha collaborato. Grazie a lui, alcuni concetti relativi alla direzione orchestrale e agli arrangiamenti, sono diventati più chiari e immediati.

Demo, come ha origine la tua passione per la musica, diventata un lavoro che ti ha permesso di raggiungere ottimi traguardi e una grandissima notorietà?

Ai miei tempi, ti parlo degli anni Sessanta, noi adolescenti muovevano i primi passi in quelle formazioni musicali, meglio conosciute come bande. Nella mia famiglia sono tutti appassionati di musica. Quindi era inevitabile che anche io entrassi a far parte di questo mondo. All’epoca non c’erano i social, esistevano pochi cinema e per andare in discoteca dovevi fare tanti chilometri. La nostra valvola di sfogo era l’ oratorio o la scuola di musica della banda. Si suonava nelle varie processioni oppure in qualche manifestazione. Mi sono diplomato a 16 anni e ho partecipato a diversi concorsi di musica classica. Ho avuto la fortuna di suonare in diverse orchestre nazionali come trombettista. Sono stati quindici anni nei quali ho acquisito una grande esperienza e ho avuto la possibilità di ascoltare tanta musica dal vivo. Oggi qualche rimpianto c’è, ma ho scelto un’altra strada e non me ne pento. Tornando al mio percorso artistico, ho frequentato diverse case discografiche e amicizie che mi hanno trasportato verso la musica pop. Iniziai come session man per tantissimi cantanti italiani e stranieri. Molti apprezzavano il mio stile musicale, gradevole e riconoscibilissimo. Naturalmente questa cosa non poteva che farmi piacere. Successivamente mi chiamò Franco Mussida della Cpm di Milano, una scuola importantissima che a giorni compirà 40 anni. In seguito formai una big band che fu notata da Claudio Cecchetto. Grazie a lui conobbi Jovanotti, Fiorello e tanti altri artisti. Da lì cominciò un po’ tutto”.

Parlando di Fiorello, c’è un aneddoto che ci puoi raccontare?

Di aneddoti te ne potrei dire tanti. Te ne racconto uno che risale ai primissimi concerti con Fiorello all’Aquafan di Riccione. Noi musicisti dovevamo raggiungere Riccione da Milano. Avevano, più o meno, calcolato il tempo per arrivare sul posto e fare qualche sosta prima del soundcheck. Sulla riviera adriatica c’era un traffico incredibile. Eravamo ancora in autostrada e non capivamo il motivo di quella coda di macchine. Ebbene sì, erano tutte persone che dovevano andare a vedere il concerto di Fiorello. Arrivammo con un ritardo pazzesco e saltò anche il soundcheck. Salimmo sul palco e facemmo la serata. C’è da dire che Fiorello è imprevedibile. Tutto quello che si provava veniva cambiato. Per noi, tutto sommato, era anche abbastanza divertente. L’ imprevedibilità di Fiorello ci consentiva di non andare avanti con il solito clichè, che a lungo andare avrebbe annoiato. Il soundcheck di Fiorello non era una prova tecnica in quanto i contenuti venivano sovvertiti ogni sera”.

Hai partecipato a diversi programmi di successo, oltre ad aver conosciuto grandi maestri della televisione come Maurizio Costanzo. Qual è l’ insegnamento e il ricordo più grande che hai di Maurizio?

Maurizio ha sempre affrontato con grande lucidità qualsiasi tipo di argomento, anche il più scabroso. Possedeva una grandissima proprietà di linguaggio e soprattutto una grande attenzione nell’ usare una forma verbale che non offendesse nessuno. In 20 anni di collaborazione non l’ho mai sentito sbagliare un verbo o un aggettivo. Conservava una calma incredibile, non l’ho mai visto agitarsi prima di una trasmissione o una diretta. Fin dal primo giorno del “Maurizio Costanzo Show’ mi ha misso a mio agio. Inoltre, con me e gli orchestrali non ha mai avuto una critica negativa, anche quando l’avremmo meritata”.

In tanti anni di televisione quale è stato il momento più difficile che hai dovuto affrontare?

“C’è stato un momento nel quale ho dovuto tirare i remi in barca perchè lavoravo tanto. Non avevo più una vita degna di essere definita tale. Vivevo soltanto per andare negli studi televisivi. Con mia moglie decidemmo di rallentare un attimo. Quel rallentamento, però, ci comportò una frenata di un anno e mezzo. In quel periodo i dubbi e le domande furono tante. Poi, fortunatamente, tutto ebbe una ripresa con “I fatti vostri” di Michele Guardì, Giancarlo Magalli e Marcello Cirillo. Tutto andò avanti per una decina di anni. Poi arrivò il Covid che ci fermò nuovamente. Un periodo duro, che ha creato tanti problemi a molti colleghi. Ancora oggi se ne avvertono le conseguenze. Nel frattempo, la nascita dell’intelligenza artificiale ha dato il colpo finale ai musicisti. Se ascolti un brano non riconosci più se è stato fatto da un essere umano o dall’intelligenza artificiale. Sono sicuro che la nuova generazione applicherà l’ intelligenza artificiale alla musica. Il mio augurio è che tutto si faccia con la giusta consapevolezza. Sarebbe grave applicare l’ intelligenza artificiale senza conoscere un accordo o una nota”.

Secondo te, restando nel mondo dello spettacolo, esiste la riconoscenza?

“Diciamo al 50%. Sono stato riconoscente nei confronti di alcuni miei colleghi, ma anche altri lo sono stati con me. Purtroppo, Claudio, in questo ambiente siamo troppi e molti devono qualcosa all’altro. Quando posso aiutare qualcuno lo faccio volentieri, ma l’ ho fatto anche quando non ero Demo Morselli. Dietro il nostro lavoro ci sono tanti studi, sacrifici e notti insonni, ed è giusto dare a qualcuno la possibilità di realizzare i propri sogni”.

Tra le tante persone che hai conosciuto, dal punto di vista umano c’è qualcuno che ti ha particolarmente colpito?

“Senza dubbio Jovanotti. Lorenzo Cherubini ha una generosità e umanità assoluta. E’ molto sensibile. Con lui ho fatto alcuni tour e composto arrangiamenti a brani come L’ombelico del mondo, Penso positivo e tanti altri. Lorenzo è sempre pronto ad aiutare chi è in difficoltà, ma non soltanto dal punto di vista economico. Quando eravamo in tour, ricordo che ci invitò a mangiare nell’albergo che lo ospitava. Noi non potevamo permettercelo perchè era un albergo caro, ma lui ci volle con sè e pagò tutto. Piano piano ho cominciato a frequentare casa sua e tutta la sua famiglia. E’ uno dei pochi che fa tanta beneficenza, ma senza sbandierarla. Jovanotti ama le cose concrete. Lo apprezzo moltissimo”.

Parlando del festival di Sanremo, secondo te, in quali aspetti è cambiato nel corso degli anni?

Claudio, ti sono sincero, Amadeus mi ha incuriosito perchè ha fatto parte della schiera di Claudio Cecchetto insieme a Fiorello, gli 883 e tanti altri. In quel periodo uscivano tutti da Radio Dj. Conoscendo la cultura musicale di Amadeus sapevo che non sarebbero stati dei festival banali. Ero convintissimo che Amadeus avrebbe ‘pescato’ delle chicche tra le nuove generazioni e quelle passate. Ha saputo abbinare spettacolo e show. Sfido chiunque ad ottenere certi ascolti. Io stesso non conoscevo tanti cantanti o rapper che Amadeus ha scovato. Oltre ad avvicinare la nuova generazione ad una kermesse importante come il festival, ha saputo dare nuova linfa a tanti cantanti blasonati. La critica ci sarà sempre, ma la sua competenza musicale è fuori discussione. E’ stato un bel festival con ottime scelte sia dal punto di vista scenografico che di scaletta”.

Nel tempo sono mutate tante cose, la discografia, la qualità dei testi e la bella melodia. Proprio su questi due ultimi aspetti mi piace avere un tuo parere. Spesso si ascoltano dibattiti, anche molto accesi, sulla qualità attuale della musica rispetto a quella del passato. Si parla di un livellamento verso il basso. Dove si sta andando?

“Secondo me è un momento transitorio perchè anche Battisti e Mogol per decenni sono stati “dimenticati”. Da un po’ di anni a questa parte hanno avuto una nuova linfa con diverse cover, brani e citazioni varie. Con il tempo, l’intelligenza della nuova generazione capirà cosa è giusto o sbagliato, scadente o di qualità. Ho fiducia nei giovani ma ci vorrà del tempo. Oggi si è distratti dalla musica di oltreoceano e da tante altre cose. Logicamente è importante conoscere i vari De Andrè, Guccini, Gaber, coloro che hanno fatto la storia della musica attraverso le parole. I giovani vanno aiutati. Mia nipote, ad esempio, non aveva mai ascoltato De Andrè, ma adesso lo fa. Un ruolo importante lo devono avere le scuole. Non si può continuare ad annoiare i ragazzini con il flauto dolce o facendogli ascoltare qualche sinfonia ‘movimentata’ come quella del Guglielmo Tell. Devono ascoltare musica cantautorale, della Pfm o del Banco del Mutuo Soccorso. Senza questa musica non esisterebbe il pop di adesso. E’ importante inserire materie che possano avvicinare la nostra musica popolare ai ragazzi. Poi saranno i ragazzi a cercare quello che c’era 50 o 100 anni fa. Io stesso, ancora oggi, rileggo quei libri di storia della musica che studiavo quando andavo al conservatorio”.

Il grande lavoro viene fatto durante le prove, poi si va in scena, ci sono i convenevoli, si dà la mano al primo violino e si inizia. Molti pensano che il lavoro di un direttore di orchestra sia solo quello di dare il tempo. Quali sono, invece, le caratteristiche principali che un buon direttore deve avere?

“L’unico errore che ho fatto in vita mia, adesso lo dico, è quello di essermi agitato troppo. Guardandomi non mi sono piaciuto. Mi piace, invece, il mio salto finale al quale non posso rinunciare. Un direttore d’orchestra deve dirigere e dare le giuste indicazioni con molta sobrietà. Basta un minimo sguardo e la giusta gestualità, senza particolari agitazioni. Altrimenti si diventa accentratori e non va bene. Questa cosa succede anche nella musica classica. Spesso si vedono direttori che si agitano un po’ troppo”.

Ci spieghi in modo semplice cos’è un arrangiamento e da quali parametri si giudica il buon lavoro di un arrangiatore?

Volentieri. Se l’autore del brano non ti dà indicazioni particolari, l’arrangiatore deve saper cogliere la sensazione che il brano gli trasmette. Può essere una sensazione malinconica, aggressiva, pop, jazz e via dicendo. Dopo questa prima analisi, che serve a capire quale vestito deve avere un brano; comincia la fase degli esperimenti, che prima si facevano sulla carta perchè non c’era il computer. Inizi a scrivere la batteria, il basso, i fiati, la chitarra, il pianoforte, mettendo gli accordi o cambiandoli leggermente, chiedendo il permesso all’autore. Devi, però, sempre preoccuparti di mantenere la melodia, senza prevaricarla. Mai sovrastare la melodia di chi, con tanti sforzi, l’ha composta. Quando un brano ha successo, credo che un buon 50% di merito vada anche all’arrangiatore. Un arrangiatore deve arricchire un brano con la competenza e le sue intuizioni da musicista”.

Adesso di cosa ti stai occupando?

“Ho due progetti: Tu vuo fa l’americano, un progetto teatrale che sto portando avanti con la mia orchestra e il cantante Marcello Cirillo. Abbiamo già debuttato al Trianon Viviani di Napoli. Lo spettacolo parla di quegli italiani che hanno avuto fortuna in America. Poi c’è un progetto con Tony Renis e Vittorio Grigolo per fare un disco che comprende delle cover di Frank Sinatra. Questo inverno dovremmo cominciare le registrazioni a Los Angeles”.


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